Due mondi culturali opposti: arrostire o bollire?


E' già stato argomentato numerose volte attraverso gli articoli del mio blog di come la cucina non sia solo un aspetto materiale della vita dell'uomo ma si carichi di significati, simbologie e aspetti apparentemente discordanti tra loro; allo stesso modo anche gli elementi che la compongono si incorporano valenze simboliche.
Preferire determinati metodi di cottura ad altri, in particolar modo per le classi elevate, non era solo una questione di preferenze alimentari, ma anche qualcosa di ben più profondo e complesso.


(Joachim Beuckelaer, La cucina ben fornita, 1566,
Rijksmuseum, Amsterdam)


Non a caso il biografo di Carlo Magno racconta che negli ultimi anni di vita nonostante il re soffrisse di gotta, si rifiutava di consumare i bolliti prediligendo gli arrosti. Lasciando da parte i significati che le due preparazioni assumevano all'interno delle teorie mediche (il bollito in sostanza era considerato un metodo di cottura leggero, consigliato per i malati, le persone deboli e anche i monaci), di fatto queste due modalità di cottura assunsero nel corso della storia ruoli che furono agli antipodi: il primo era sinonimo di inciviltà (nel senso stretto del termine) e di rapporto diretto con la natura; il secondo, invece, assunse la simbologia opposta, ovvero strumento di mediazione culturale e umana.
Mi spiego meglio: arrostire era una pratica tipica delle comunità primitive, del resto se ci pensiamo bene fu quasi sicuramente il primo metodo di cottura sperimentato e utilizzato; in quanto tale, era sinonimo di assenza di progresso, regole culturali ed alimentari. A partire dai primi secoli del Medioevo questo metodo di cottura fu tipico anzitutto delle popolazioni nomadi e barbare che si spostavano in continuazione e invadevano i territori ma anche di parte della società medievale, ovvero del nobile valoroso dedito alla caccia che consumava le sue prede arrostite sul fuoco (il binomio caccia-arrosto fu molto forte).


(Tacuinum Sanitatis, XIV secolo)


Dal lato opposto si pose, quasi inevitabilmente, il bollito. Questo metodo di cottura era infatti sinonimo di civiltà ma anche di cultura perché il cibo non aveva un contatto diretto con la fonte di calore (come nel primo caso), ma vi era la presenza di un "mediatore" culturale e pratico: le pentole o i manufatti atti alla cottura. Ma la riflessione non termina certo qui, il bollito infatti era legato anche all'arte dell'economia domestica e di quella povera, era un metodo di cottura che aveva come intento quello di non sprecare nulla: la carne prima di tutto, ma poi anche il brodo che veniva consumato e le verdure utilizzate per la sua preparazione. Un modo di preparare e cucinare che non si conciliava molto con i valori dei ceti elevati e soprattutto con il loro costante desiderio di mostrare disponibilità economiche.
Ma la contrapposizione non è solo a livello culturale ma anche sociale, non solo per l'affermazione che ho appena fatto sui differenti ceti ma anche, in modo più specifico, sul rapporto tra ruolo maschile, femminile e cucina. Considerando infatti quanto ho affermato in precedenza, arrostire era una pratica connessa ai cacciatori e quindi agli uomini, solo loro erano ritenuti i legittimi custodi di quest'arte. Dalla parte opposta si poneva il bollito metodo che, poiché richiede l'utilizzo di un contenitore, ovvero una pentola, era culturalmente e socialmente associato alla sfera femminile e alle competenze legate al ruolo della donna in ambito domestico.
Due antichi metodi di cottura che sono carichi di significati non solo culturali ma anche sociali e antropologici, due elementi per scoprire una parte del nostro passato e, al tempo stesso, comprenderne meglio la presenza nel panorama culinario moderno.

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