Lo spiedo tra cultura, arte e storia.


Le attività di cucina (metodi di cottura, conservazione, preparazione e trasformazione) sono tecniche e azioni fondamentali per il lavoro di un cuoco o, in ambito casalingo, di una massaia. Esse però si caricano di significati e simbologie, sono un esempio concreto dell'attitudine dell'uomo a trasformare esigenze pratiche in opportunità per creare cultura. Di conseguenza nel corso dei secoli il loro utilizzo si è caricato di valenze simboliche e sociali. In questa logica in passato determinati metodi di cottura, similmente a materie prime, erano destinati a ceti elevati; altri al popolo. E' proprio a questo punto che si innesta la predilezione dei nobili e persone con disponibilità economiche alla cottura delle carni attraverso l'arrostitura. Gli scritti di Eginardo, biografo di Carlo Magno, ci danno testimonianza della predilezione del sovrano per questa tecnica e, indirettamente, confermano quanto appena affermato.




La contrapposizione tra tecniche diverse non si realizzava solo sul piano pratico ma, come ho già accennato, soprattutto culturale e sociale. L'arrosto stava dalla parte dell'aspetto "selvatico" dell'uomo, perché poco mediato dalla cultura umana. Arrostire infatti fu quasi sicuramente il primo metodo di cottura utilizzato dall'uomo; le comunità primitive cuocevano pezzi di carni degli animali cacciati direttamente sulle braci o in prossimità di un fuoco, senza l'ausilio di "mediatori culturali", ovvero pentole, casseruole e altri attrezzi frutto dell'ingegno umano. In virtù di ciò appare chiaro come questo metodo sia stato assunto, soprattutto nei primi secoli del Medioevo, a modello di virilità e forza, doti indispensabili per un re o un nobile che doveva comandare un territorio. Anche attraverso le pratiche di cucina si legittimava l'attitudine a forza e comando. 
L'opposizione appena esposta non è solo a livello sociale ma anche di mansioni, in una società profondamente divisa su compiti maschili e femminili anche i metodi di cottura rientravano in questa logica: l'arrosto era associato quindi alla figura maschile, ai caratteri di forza che distinguevano l'uomo; il bollito invece all'aspetto femminile, perché necessitava della mediazione fisica e culturale della pentola.
L'arrostitura attraverso la cottura allo spiedo era quindi un processo di cottura profondamente sentito e prediletto, quindi profondamente legato alla storia umana. I primi veri documenti che parlano di essa sono i testi omerici, dalla cui lettura si apprende che le carni venivano arrostite al fuoco attraverso questa modalità:

"Quindi fin posto alle preghiere, e sparso il falso farro, alzar fer suso in prima alle vittime il collo, e le sgozzaro. Tratto il cuoio, fasciar le incise cosce di doppio omento, e le coprir di crudi brani. Il buon vecchio sull''accese schegge le abbrustolava, e di purpureo vino spruzzando le venìa. Scelti garzoni al suo fianco tenean gli spiedi in pugno di cinque punte armati: e come furo rosolate le coste, e fatto il saggio delle viscere sacre, il resto in pezzi negli schidioni infissero, con molto avvedimento l'arrosto, e poscia tolser tutto alle fiamme. Al fin dell'opra, poste le mense, a banchettar si diero, e del cibo egualmente ripartito sbramarsi tutti"

(Omero, Iliade, I libro).

La sua predilezione durante il Medioevo è già stata affermata precedentemente, tuttavia è bene precisare che furono i Longobardi a introdurlo nel tessuto sociale del Nord Italia, generando così nei suoi confronti un vero e proprio amore. E' in questo lasso di tempo che viene collocata l'origine del nome derivabile da un'arma da combattimento, nello specifico una lancia, segno dello stretto legame esistente tra guerra e cucina ma soprattutto della versatilità di utilizzo di alcune armi che all'occorrenza potevano essere utilizzate come strumenti di cottura.
La pratica dello spiedo era profondamente connessa ai sistemi di caccia medievali: nelle riserve e nei boschi di proprietà dei nobili gli animali di grossa taglia potevano essere cacciati solo dal proprietario. A poveri e contadini rimanevano gli animali che il signore non riteneva opportuno uccidere; chi non rispettava queste regole era punito con pene molto severe, anche con la morte.
E' proprio in questo contesto che si innesta probabilmente l'inserimento degli uccellini nella cottura allo spiedo. Alimento generalmente poco apprezzato dai nobili (anche se qui bisognerebbe fare opportune precisazioni perché vi sono, di fatto, specie che venivano gustate anche dai palati raffinati), erano una fonte alimentare e anzi, una ghiottoneria per il popolo.


(Joachim Anthonisz Wtewael, A Kitchenmaid,
in the background Jesus in the house of
Mary and Martha, XVII secolo)


Non a caso inizialmente la ricetta presente in alcune località del Nord Italia prevedeva nella maggior parte dei casi solo piccoli volatili, i quali venivano cotti attraverso l'aggiunta di un condimento che poteva essere di diversa natura a seconda delle zone: burro dove erano presenti i pascoli, lardo/strutto dalle altre parti. L'introduzione degli involtini di carne (a Brescia chiamati "mumbulì") appartiene a una seconda fase, coincidente ad un miglioramento delle condizioni economiche e quindi a una maggiore disponibilità dei prodotti carnei.
Le tipologie di spiedo e di carne che vi sono inserite nelle differenti preparazioni sono diverse a seconda dei luoghi, fattore che indica non solo esigenze di tipo economico legate alla sussistenza e a ciò che il territorio poteva offrire, ma anche le matrici culturali e interpretative legate alla sua preparazione.
L'aspetto appena esposto può sembrare ovvio e unicamente pragmatico, tuttavia ha implicazioni importanti sulla percezione di questa preparazione, soprattutto nel bresciano, una delle aree da cui questo metodo di cottura divenuto vera e propria preparazione si è originata e maggiormente diffusa non solo nel sistema gastronomico, ma soprattutto in quello culturale. Essa divenne quindi nel corso del tempo anche e soprattutto uno strumento di legame identitario di tutto il vasto territorio di Brescia. Vi era la consapevolezza implicita che fosse un elemento di unione e identificazione di un territorio e della sua popolazione ma, al tempo stesso, differenziazione all'interno dello stesso in base alle modalità di preparazione e alle carni utilizzate.
In generale nell'ambito del sistema di innovazione strumentale e tecnologica legate all'apparecchiatura utilizzata, il contributo di Leonardo da Vinci nella progettazione di nuovi sistemi per facilitare la pratica di cottura non è da sottovalutare.
Nel percorso di evoluzione tecnica di questa pratica bisogna ricordare la nascita di diverse tipologie di macchine da spiedo, difformi non solo per le dimensioni ma anche per la lunghezza degli schidioni (aste su cui venivano infilzate le carni) funzionali alle tipologie e quantità di carni da arrostire, ma anche per i materiali usati. E' utile ricordare che nei primi secoli veniva impiegato anche il legno che permetteva di contenere i costi per la realizzazione di quello in metallo; nonostante ciò l'uso di questo materiale era sconsigliato dai gastronomi dell'epoca perché creava problemi durante il processo di cottura e nel momento in cui la carne cotta doveva essere sfilata.
Il lavoro di Leonardo di cui ho accennato in precedenza può sembrare solo una curiosità, in realtà è molto importante per la storia e l'evoluzione di questa tecnica perché contribuì enormemente al perfezionamento e alla successiva diffusione di esemplari meccanizzati le cui strutture sono presenti in alcuni casi anche in manieri sul territorio bresciano e i cui studi condotti dall'illustre pensatore sono ancora esistenti.
Comprendere la storia e gli aspetti culturali associati a questa modalità di cottura permette non solo di gustare meglio gli straordinari risultati che ne derivano, ma essere più partecipi della storia del territorio, che è fatta di uomini, tradizioni, esperienze e tanta cucina.

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