I volti del cibo a Natale attraverso scrittori e artisti.


E' noto a tutti come il cibo non sia solo nutrimento per il corpo e fonte di sopravvivenza, ma assuma significati mutevoli nel tempo in funzione di determinati contesti. Le simbologie poste in essere da questo importante componente della vita umana sono maggiormente visibili in particolari ricorrenze e feste, in cui ciò che mangiamo diviene spesso protagonista.
Gli aspetti esposti si concretizzano non solo nell'intenzione di festeggiare ma anche nelle differenti valenze simboliche, sociali e culturali assunte. Moltissimi sono gli scrittori che in modi diversi hanno documentato ed evocato il Natale, un esempio su tutti è "Cantico di Natale" di Charles Dickens, racconto molto conosciuto e immagine non solo dei tanti volti del periodo più particolare dell'anno ma, soprattutto, critica della società e della sua assenza di valori.


(Henry Manirer Matveevich, Mercato di Natale, XIX secolo)


L'esempio appena esposto non è isolato, sono molti infatti i casi in cui il mondo alimentare è utilizzato come mezzo per denunciare l'assenza di valori e richiamare l'attenzione verso determinate tematiche sociali. Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin), a tal proposito, in "La famiglia De Tappetti" descrive e scimmiotta i preparativi per il pranzo di Natale di una tipica famiglia borghese italiana, evidenziando così attraverso gestualità vuote e prive di significati l'assenza dei veri componenti che dovrebbero animare i festeggiamenti natalizi.
Ma il cibo è portatore di significati anche nella sua assenza; questo è particolarmente verificabile nella narrativa di Dostoevskij e nello stretto rapporto tra mancanza di risorse alimentari e povertà, connubio che caratterizza le feste delle persone povere del passato e del presente, generando così, in misura e modi diversi, una continuità.
L'assenza di cibo può essere determinata anche dalla distanza dal luogo in cui si vive, un esempio su tutti è l'importanza sociale e psicologica che assume nei ricordi scritti dei soldati al fronte o prigionieri di guerra: non solo nostalgia, ma soprattutto ricordo, coesione sociale, culturale e forte senso identitario. Bonaventura Tecchi, scrittore italiano del Novecento, nei ricordi da prigioniero di guerra evoca i cenoni natalizi dallo zio Raffaele Cristofori, a cui era invitato ad andare quando era bambino.

" (...) i maccheroni con le noci, era l'inizio della cena di Natale, come una carezza un poco ruvida, ma deliziosa, e  proseguiva con il fritto di pesce, quello di lago e quello di mare, e poi con le triglie, cefali e le anguille nulla  da invidiare alle cotolette di persico, saporose e degne di essere accompagnate dallo champagne (...) e non mancano le cipolline in umido, i polpi di mare, la trota di fiume e i grandi lucci (...)". 


(Matthias Stomer, The Adoration of the Shepherds, 1650, Palazzo
Madama e Casaforte degli Acaja, Torino)


Il cibo nelle festività natalizie emerge anche da scritti privati, resoconti economici o lettere di scrittori o personaggi famosi, tesori preziosi che documentano stili di vita, abitudini private, gusti e pratiche gastronomiche di grandi personalità della cultura italiana o internazionale. Sono due gli esempi che desidero proporre in questo articolo: Verdi e Monet.
Del primo è possibile, attraverso alcuni libri, consultare i diari contabili che testimoniano le forniture di derrate alimentari delle fattorie alle dipendenze della villa del famoso compositore italiano. Vi emergono, ad esempio, i capponi grassi e gustosi e altri prodotti che dovevano essere portati in villa in occasione della fine dell'anno agricolo (festa di San Martino) e del Natale.
Nel ricettario di famiglia di casa Monet, invece, è possibile leggere il menù dei pranzi di Natale.
E' proprio con quest'ultima perla culturale e gastronomica che voglio farvi i miei più sinceri auguri di Buone Feste!.

" Aprono il menu uova strapazzate ai tartufi o la rana pescatrice all'americana, come vuole la tradizione, il foie gras tartufato in crosta arrivato da Strasburgo, seguito dai capponi tartufati e farciti su un letto di marroni e di tartufi del Périgord, serviti con una purea anch'essa di marroni. Un'allegra insalata valeriana novella rompe la solennità di questi piatti, seguita da gorgonzola o Roquefort. Arriva infine il momento che, per i bambini, racchiude la vera magia del Natale: Paul chiude le imposte e porta in tavola il Christmas Pudding intorno al quale è stato versato generosamente il rum e lo fiammeggia tra le grida di ammirazione di tutti; il cristallo delle caraffe del vino e dello champagne, spesso Veuve Cliquot, si accende in un lampo improvviso. A conclusione del banchetto, arriva il gelato alla banana preparato nella vecchia, gloriosa sorbettiera di casa, che sembra zucchero filato. Come sempre, il caffè viene servito nel salone-atelier, seguito dal rituale dell'acquavite, della grappa  e dei liquori delle isole " *

* (Claire Joyes; Alla tavola di Monet. L'autentico ricettario di famiglia del Maestro di Giverny;  Guido Tommasi Editore)

(Franz Skarbina, Sotto l'albero di Natale, 1892,
Standtmuseum Berlin)


Commenti

Post più popolari