L'inaspettato uso del grasso, un modo diverso per conservare il salame.

Ho parlato molte volte in diverse occasioni di come l'uomo abbia sovente fatto "di necessità virtù", trasformando la penuria alimentare in occasione per incontrare il gusto. Sono tanti i casi che potrei citare che entrano a pieno in questo ampio discorso che, per dirla tutta, non comprende solo l'essere umano ma anche l'ambiente in cui esso vive e si realizza nel modo di interagire tra i due. Rientra in tutto ciò l'utilizzo che l'uomo ha sempre fatto del grasso, soprattutto quello animale, derivante dalla macellazione degli animali da cortile, non solo il maiale quindi, ma anche galline e oche. Siamo abituati a vederlo utilizzato come base per cuocere gli alimenti, confezionare insaccati oppure usato da Nord a Sud per friggere, ottenendo così prelibatezze sia dolci che salate.
Pochi sanno forse però che esso veniva utilizzato anche per conservare. E' proprio in questi casi che si realizza quanto ho appena esposto sopra: la necessità, l'ambiente e l'uomo creano spesso risultati straordinari. Ed è proprio nelle zone del Nord Italia, quando le fasi successive a quella di insaccamento (ovvero la stagionatura e la conservazione) non possono avvenire a causa delle avverse condizioni climatiche e ambientali, che l'uomo si ingegna per ovviare a queste difficoltà. Il risultato?! Il salame conservato nel grasso!.

(Arazzi Trivulzio, Milano, part.)

Succede ad esempio nelle pianure del Piemonte orientale, dove si genera così una vera prelibatezza: il "salam d'la duja", salame di suino conservato sotto grasso in cui il termine "duja" indica il tipico contenitore in terracotta utilizzato per la sua conservazione. Oggi, questo figlio dell''astuzia umana e della volontà di sopperire alle difficoltà è diventato una delle tante prelibatezze che questa meravigliosa terra può offrire. Ma non è un caso unico, anche in Lombardia ci sono diversi esempi di salame conservato nel grasso, nel bresciano infatti quando si produceva il maiale e si preparavano i salumi, parte dei salami era destinata ad essere conservata sotto grasso e consumata poi nei mesi più caldi perché lo strutto proteggeva dall'ambiente esterno e permetteva, in generale, di conservare inalterate le caratteristiche sensoriali originarie, con un maggiore accenno al sentore speziato.

(Ciclo dei mesi, protiro centrale Cattedrale di Cremona)

La tecnica appena citata non è tipica però solo del grasso del maiale, vi è una variante in cui il protagonista è il grasso d'oca. "L'Oca in onto" è infatti una preparazione molto caratteristica del Veneto, originaria del Cinquecento e unione tra il retaggio della cultura ebraica e l'esigenza delle famiglie rurali di poter avere disponibile tutto l'anno carne diversa dal maiale. Essa è costituita da pezzi di carne d'oca che dopo essere cotti lentamente con erbe aromatiche vengono ricoperti con il grasso fuso derivante dalla cottura dello stesso animale; vi è poi anche la versione cruda in cui i pezzi di carne prima di essere ricoperti di grasso vengono lasciati sotto sale per un certo periodo di tempo. Vera squisitezza e valida alternativa per le comunità ebraiche che, come tutti sappiamo, non potevano consumare il maiale.
Il grasso del suino però è un tipico retaggio della cultura nordica e non certo di quella romana e mediterranea in generale. Il suo utilizzo e diffusione sono ricondotti alla lenta e inesorabile diffusione della cultura dei popoli del Nord Europa avvenuta nell'ultimo periodo dell'età romana e agli inizi dell'Alto Medioevo. Per comprendere bene l'importanza dell'introduzione di queste nuove abitudini gastronomiche basta pensare che Antimo, il primo intellettuale che si cimentò a parlare di dietetica durante il Medioevo, pur essendo mediterraneo di nascita e formazione culturale, dedicò una parte molto rilevante del suo trattato all'uso del lardo (anche se in realtà lo prescriveva come ipotesi di sostituzione per alcuni alimenti qualora mancasse l'olio).
Il grasso animale divenne sempre più presente nella cultura e nel tessuto sociale, tanto da essere usato dai ceti sociali elevati e perfino dai monaci.
E' chiaro infine come per il resto del popolo il grasso del maiale o di altri animali da cortile divenne per secoli una logica sopravvivenza per chi, avendo già poco, era abituato a non sprecare nulla di quello che possedeva o che poteva ricavare dalla macellazione degli animali, soprattutto quando questo era una delle poche fonti proteiche che riusciva ad integrare e rendere più "sostanziosa" una dieta assai povera.
Ma vi assicuro che gustando una fetta di salame conservato nel grasso si compie un viaggio nei sapori e nella storia, profumi che si fondono ed esplodono in bocca, accentuando l'esperienza gastronomica e gustativa del fortunato che può assaporare ancora queste prelibatezze che fuggono dall'omologazione dei gusti e dei sapori che è sempre più presente anche nell'industria che produce salami e, più in generale, in quella alimentare.

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