Il vino nella storia, parte VII: l'Ottocento, un possibile rinnovamento?!

L'Ottocento dal punto di vista vitivinicolo fu un secolo caratterizzato da tre grandi aspetti: la diffusione delle grandi malattie della vite (funghi e altri parassiti portati in Europa dall'America del Nord), l'espansione uniforme della coltivazione e, soprattutto verso la seconda metà del secolo, si cominciò a concepire il vino come un prodotto da promuovere all'estero e rendere saldo nella produzione.
Attorno al 1850/60 si ebbe la prima classificazione della qualità dei vigneti e, grazie al miglioramento dei mezzi di trasporto fu a disposizione dei consumatori una più vasta gamma di vini. E' logico pensare che una classificazione fu anche e soprattutto un'esigenza pratica; in particolar modo i miglioramenti apportati alla rete ferroviaria contribuirono molto a questo aumento.
 Con la nascita del fenomeno dell'Esposizione Universale il mercato del vino subì un considerevole aumento perché poteva essere conosciuto da un numero maggiore di persone ma anche proposto e pubblicizzato in modo più efficace. Fu proprio nel 1862 ad un'esposizione a Londra che il Mondo conobbe realmente i vini italiani e che questi ultimi si imposero nel panorama internazionale di settore.
Tra il 1840 e il 1860 una nuova piaga colpì le viti: in vari Paesi del Mediterraneo venne riscontrato l'oidio. A tal proposito, la costatazione che i vitigni europei erano più suscettibili di quelli americani determinò la convinzione che la sua origine fosse l'America del Nord. Tuttavia, poiché queste ultime erano più resistenti, vennero importate in Europa per sopperire alle gravi carenze agricole e quindi economiche che questa malattia aveva determinato.

(W. Marstrand, Osteria romana, 1847)

L'introduzione di tali piante tuttavia determinò la diffusione degli afidi  della fillossera che aggravarono considerevolmente la situazione. Nel 1860/70 si scoprì che contro l'oidio erano efficaci i trattamenti con polvere di zolfo.
Nonostante ciò, la produzione scese considerevolmente e di conseguenza i prezzi aumentarono, con  la scoperta dei trattamenti a base di zolfo le cose migliorarono e le produzioni si risollevarono.
Nel 1878  un'altra malattia parassitaria colpì le viti: il marciume nero, con questa nuova piaga in alcuni Paesi tra cui l'Italia la produzione calò ulteriormente. Anche in questo caso fu decisiva una scoperta: il solfato di rame spruzzato sulle piante era un ottimo rimedio, così già nel 1889 la situazione migliorò considerevolmente.
I consumi di vino si ridussero molto in vari Paesi europei, tuttavia va menzionato un aspetto molto particolare: le classi meno abbienti bevevano di più rispetto ai nobili e agli aristocratici. Chiaramente i prodotti consumati erano assai diversi, come vedremo meglio tra poco. Si generò anche il problema sociale del dilagante alcolismo: l'aristocrazia considerava sconveniente e dannoso per la reputazione sociale la smodatezza nel bere, così questa pratica finì per identificare persone di basso livello sociale e culturale ma anche i luoghi in cui tutto ciò avveniva, ovvero bordelli e osterie.
L'alcol divenne un veicolo di sfogo sociale, il campanello di allarme di una classe, quella proletaria, povera, sfruttata e senza prospettive di miglioramento. Occorre fare però una precisazione: questo aspetto era particolarmente legato al consumo dell'acquavite (soprattutto nel Centro Europa), prodotto nuovo del popolo e che trovava come corrispettivi per l'aristocrazia le nuove bevande appena importate: la cioccolata e il caffè.
A differenza del vino però l'acquavite determinava un'ubriacatura sostanzialmente immediata.

(W. Marstrand, Allegrezza popolare all'osteria, 1853)

Se da un lato alcune forze politiche consideravano il consumo di alcol deleterio perché era un mezzo di distruzione degli equilibri sociali e della forza lavoro (aspetto che portò successivamente al fenomeno del proibizionismo), dall'altro lato alcuni consideravano dannosa solo l'acquavite, mentre sostenevano che il vino fosse un elemento di coesione sociale.
Nel Sud Europa invece l'acquavite aveva attecchito molto meno e il re delle taverne rimaneva il vino.
Nonostante le problematiche legate alle malattie della vite, l'Ottocento fu un secolo di rilancio per il vino italiano (come ho già accennato in precedenza). L'interesse nazionale ed estero non fu concentrato solo all'aspetto quantitativo ma anche qualitativo; contemporaneamente a ciò arte e letteratura si interessarono sempre più a questo prodotto che divenne il protagonista di molte opere.
Dal punto di vista vitivinicolo vi furono i primi tentativi di ammodernamento delle tecniche colturali che fino ad allora si limitavano a due forme: alberata e sostenuta da pali;  altre innovazioni furono apportate alle modalità di potatura e di impianto. Toscana e successivamente Piemonte furono leader di questi rinnovamenti e i loro vini incominciarono ad essere sempre più conosciuti.

(Pierre-Auguste Renoir, Le déjeuner des Canotiers, 1880-81,
Phillips Collection Washington)

Nel 1880/1900 la notevole riduzione della quantità di vino a disposizione a causa delle malattie che colpirono la vite durante tutto il secolo, portò ad un aumento delle frodi e delle sofisticazioni, le più comuni erano: vino mescolato ad acqua oppure ad uvetta secca, coloranti e aromi, aggiunta di zucchero per aumentare la gradazione. Questi metodi di manipolazione del vino erano vecchi di secoli e proprio a fine Ottocento raggiunsero l'apice dell'utilizzo e della diversificazione; i più frequenti erano anche: l'aggiunta di zolfo per impedire la degenerazione del vino e del mosto e la colla di pesce e bianco d'uovo per chiarificare i vini. Alcuni produttori arrivarono addirittura a produrre vino artificiale con varie tecniche.
E' chiaro come questo fenomeno fosse profondamente legato alla crisi vinicola e al desiderio di guadagnare, ma un incentivo forte fu anche l'esigenza di modificare e migliorare il vino di cattiva qualità. Fu proprio questo fenomeno legato alla sua produzione che fece crescere sempre più l'esigenza di garantire la provenienza dei prodotti, soprattutto se si trattava di eccellenze.


(E. Forberg, Gli assaggiatori di vino, acquaforte da The Art
Journal, 1880, Collezione Pittaro, Codroipo, Udine)

Il problema della fillossera fece nascere due correnti di pensiero opposte riguardanti le pratiche di cura: la prima era a favore dei trattamenti a base di zolfo, la seconda di quelli che erano a favore dell'innesto su ceppo americano. Successivamente (1930) fu proprio quest'ultima ad imporsi come nuova tecnica colturale.
A fine Ottocento si fecero progressi anche nella lotta alla grandine, si sperimentarono le "stazioni di sparo", munite di speciali cannoni contro le nuvole della grandine.
Il secolo in analisi fu caratterizzato anche dalla crisi delle campagne, provocata dal fatto che i produttori non avevano attrezzature e macchinari efficaci per occuparsi delle viti, l'unica possibilità era vendere l'uva, questo generò una grande quantità di prodotto disponibile sul mercato che produsse una notevole diminuzione dei prezzi. I viticultori già duramente provati dal mercato e dalle difficoltà prodotte dalle varie malattie che flagellarono le viti durante tutto il secolo non ebbero altra scelta che emigrare. Tale fenomeno provocò un cospicuo abbandono delle campagne e dei vigneti.
Il panorama descritto in questo articolo preparò la strada ai grandi mutamenti che si verificarono poi il secolo successivo e che furono determinati anche da fattori sociali, economici e bellici.

Commenti

Post più popolari