Il peperoncino: dagli Indios al Mediterraneo.

"(...) e tutta la gente non mangia senza quello, trovandolo molto salutare. Da Hispanida se ne possono caricare cinquanta caravelle ogni anno".

Così scrisse il 15 gennaio 1493 Cristoforo Colombo sul suo diario di bordo. Questa annotazione fa capire in modo chiaro ed inequivocabile quanto il peperoncino fosse consolidato nelle abitudini alimentari delle popolazioni dell'America. Infatti, sebbene oggi è uno dei prodotti che vengono associati alla cultura mediterranea, le sue origini sono ben più antiche.
Il suo utilizzo come spezia da parte degli indigeni è confermato dallo scrittore missionario Bartolomè de las Casas nel suo "Historia de las Indias"; il volume fornisce informazioni anche sull'abbondanza della spezia nei territori appena esplorati. Queste informazioni pervenute fino a noi sono state confermate da recenti studi archeologici che hanno evidenziato la sua presenza nei consumi degli Indios del Cile e del Messico. Bisogna precisare però un aspetto molto importante: l'utilizzo non è assimilabile alla coltivazione; quest'ultima venne praticata molto tempo dopo dall'inizio dell'uso di questo prodotto.
Il suo impiego in cucina comune alle varie popolazioni americane, non si estinse neanche con l'avvento dei conquistatori europei, tanto che molto tempo dopo l'intellettuale Alexander von Humboldt, naturalista del Settecento, nella sua opera "Viaggio alle regioni equinoziali del Nuovo Continente" scrisse che:

"Il peperoncino è tanto necessario agli indigeni quanto lo è il sale per i bianchi".

(Renato Guttuso)

Importato nel Vecchio Continente ebbe effetti diversi: i Paesi europei furono inizialmente diffidenti, anche perché abituati al gusto di spezie fondamentalmente differenti nell'aroma rispetto al peperoncino; i Paesi del Nord Africa e Asiatici furono più propensi al consumo, anche grazie alla presenza consolidata di spezie dal gusto simile a quella appena introdotta.
Arrivato in Europa divenne, per una serie di fattori socio-economici, la nuova spezia del popolo. Questo perché principalmente la coltura non riscontrò difficoltà ambientali o climatiche che impedissero l'attecchimento, anzi, la sua predisposizione al clima del Mediterraneo fu uno dei motivi principali che ne determinò l'abbassamento dei prezzi e quindi una maggiore accessibilità da parte delle classi meno abbienti. Dal punto di vista commerciale occorre precisare che fu un flop perché non ebbe successo tanto quanto le altre spezie, nonostante medici ed intellettuali come Matthioli lo assimilavano, erroneamente, al pepe.
L'aspetto appena analizzato è confermato dal fatto che il peperoncino veniva soprannominato "la droga di tutti" o "la droga dei poveri", tanto che lo spagnolo Nicolas Monardes, autore di un famoso trattato, affermò:

" (...) il quale è conosciuto in tutta la Spagna, perché non v'è giardino né orto né vaso alcuno che non lo tenga seminato, per la bellezza del frutto che porta (...). Si usa in tutti i condimenti e potaggi, perché ha miglior gusto del pepe comune."

La diffusione delle coltivazioni in ambito europeo sfatò rapidamente le aspettative dei primi esploratori che lo introdussero nel Continente sperando di poter avere grosse rendite assimilandolo alle altre spezie. Il suo largo uso è testimoniato da molti scrittori italiani ed europei, tanto che intorno alla prima metà del Settecento l'inglese James Robert affermò:

"esso è più acre e mordace del pepe più forte. Lo si semina ogni anno ne' giardini (...) E' usato nelle salse e ne' manicaretti che nella medicina, mettendone spesso nelle salse di pesce e negli alimenti flatosi"

La citazione che ho appena proposto non è casuale, ma fa da introduzione all'altro aspetto che caratterizzava questo nuovo prodotto: il suo uso come medicinale. Le sue proprietà antisettiche erano sfruttate per preparati atti a curare varie malattie topiche e non. E' presumibilmente questa proprietà medica e la sua maggiore disponibilità anche dal punto di vista economico che lo resero fondamentale nella preparazione di insaccati (soprattutto nel Meridione), non solo come ingrediente dalla funzione gustativa ma anche e soprattutto come alleato per garantire una corretta conservazione del prodotto scongiurando o comunque rallentando i fenomeni alterativi.
Potremmo osare nel pensare che furono proprio questi gli aspetti principali che determinarono la sua assimilazione nell'immagine gastronomica dell'Italia del Sud e, più in generale, nel modello alimentare mediterraneo (e questo vale soprattutto agli inizi del secolo scorso).
Dal punto di vista simbolico, secondo Filippo Picinelli esso rappresentava il risentimento perché infastidisce con le sue esalazioni irritanti chi lo lavora. E' anche simbolo (come il pepe) della virtù perseguitata perché frantumato e sminuzzato; allo stesso tempo simboleggiava l'animo generoso che trattato crudelmente sprigiona tutte le sue qualità aromatiche.

(Diego Velazquez, Cristo in casa di Marta e Maria, 1618,
Londra, National Gallery)

Nel quadro qua sopra il peperoncino posto come primizia giunta recentemente in Spagna per la sua natura piccante simboleggia l'aggressività, in contrasto con i riferimenti di matrice sacra presenti.
Ma il nostro protagonista trova posto anche in film e nella letteratura moderna, simbolo del forte legame che ci unisce con questo straordinario prodotto.

Commenti

  1. Sempre interessante,semplice e raffinato al tempo stesso quel che ci racconta e ,tante volte insegna, Aldo Lissignoli!Grazie.

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