Il cibo e il tempo: periodi "di magro" e periodi "di grasso".


L'inizio della Quaresima mi spinge a riflettere sul rapporto tra cibo, tempo, calendario civile e religioso. Sicuramente fino a pochi decenni fa, tutte queste varianti avevano un peso importante sulla vita dell'individuo, regolandone abitudini alimentari e di consumo. Ma cosa si intende realmente per connessione cibo-tempo? Spesso la preparazione e il consumo di un alimento rispetto a un altro erano legati a una ricorrenza particolare, prevalentemente di natura religiosa. E' chiaro tuttavia come anche aspetti di carattere culturale e precetti medici assumevano un ruolo importante in questa tematica.
Per riuscire a capire meglio dobbiamo identificare due tipologie di calendario: alimentare e naturale. Il primo era composto dalle mode, abitudini, preferenze e ideologie sociali; il secondo dall'avvicendarsi delle stagioni e quindi del freddo e del caldo. Inoltre l'uno non seguiva di certo l'altro. L' aspetto riguardante il profondo rapporto tra l'uomo e il tempo era valevole, in forme e modi diversi, per tutti i ceti. Per quelli bassi era la conservazione a sconfiggere la "naturalità", perché permetteva di avere alimenti disponibili in periodi in cui essi, diversamente, non potevano esserlo; per i ceti elevati invece consumare cibi fuori stagione aveva lo scopo di mostrare le possibilità economiche e quindi la disponibilità di pagare alimenti dal prezzo molto elevato.


(Tacuina Sanitatis, XIV secolo)


A tutto ciò si aggiunse l'aspetto religioso; dal IV secolo in poi, infatti, i cristiani furono tenuti ad osservare la rigida divisione dell'anno in periodi "di grasso" e in altri "di magro", ovvero in lassi di tempo in cui era lecito consumare la carne e altri in cui non lo era. Questo meccanismo permise da un lato di consumare maggiormente derrate alimentari che fino ad allora venivano poco considerate, dall'altro il formarsi e poi consolidarsi della tradizione di produrre preparazioni dolci e salate per festeggiare le varie ricorrenze liturgiche. La riflessione appena fatta però è più complessa di quanto possa sembrare perché alcune volte l'associazione cibo-festività era fatta anche per esigenze pratiche o comunque legate al calendario stagionale, un chiaro esempio di quanto detto è il consumo di maiale per la festa di sant'Antonio a gennaio. Vi sono poi alimenti e materie prime che sono talmente comuni che in sé non differivano da una preparazione all'altra; mi spiego meglio, i dolci a base di farina, uova e grasso (burro o altro) erano, in questi tre ingredienti, uguali gli uni agli altri. Per questa macro categoria alimentare erano altre le caratteristiche che sancivano le differenze delle varie preparazioni e delle rispettive destinazioni: la farcitura o la forma.
Ritornando alla divisione protagonista di questo approfondimento, va ricordato che i giorni di magro costituivano un lungo periodo, circa 140-160 giorni all'anno. Questo numero così elevato era una forte dimostrazione di rinuncia perché la carne era un alimento essenziale nel regime alimentare (ovviamente per chi poteva permettersela). Essa non era solo la dimostrazione tangibile delle possibilità economiche dei ceti elevati ma la manifestazione dei valori della nobiltà e del perfetto guerriero, concezione di chiara influenza nordica che trovava nel suo consumo la piena realizzazione.
I precursori della diffusione di questo tipo di rinuncia furono i monaci e gli asceti che per primi, in forme e modi diversi, introdussero questo sistema alimentare.



(Il Sodoma, Come Benedetto ottiene farina in abbondanza e
ristora i monaci, XV secolo)


Ma come erano suddivisi questi giorni nel corso dell'anno? Essi si dividevano in settimanali, prefestivi e periodici, ovvero: durante la settimana all'inizio era praticato di mercoledì e di venerdì, poi solo di venerdì, le vigilie delle festività e le cosiddette grandi e piccole Quaresime (perché oltre a quella pasquale ve n'erano tre minori di durata variabile a seconda dei luoghi).
La scelta di praticare giorni "di magro" non era solo dovuta ad un ordine strettamente penitenziale, ma concorsero altri fattori: l'immagine pagana connessa al consumo di carne e quindi legata alle popolazioni barbare; l'idea che un eccesso nel consumo di carne fosse in grado di svegliare prepotentemente i sensi; le influenze della cultura greca ed ellenica con il loro ridotto consumo di carne.
Questi meccanismi determinarono la riabilitazione di cibi poco considerati o il cui consumo era marginale. Legumi, formaggio, uova e pesce divennero non solo cibi comuni nei monasteri ma anche i protagonisti delle mense laiche nei periodi sopra citati.
Bisogna precisare però che inizialmente anche il pesce era escluso dalla lista dei cibi permessi durante i periodi di astinenza dalle carni, solo a partire dal IX-X secolo venne permesso come sostituto della carne durante il periodo quaresimale; gli unici ad essere esclusi rimasero quindi i pesci grassi, ovvero quelli di grandi dimensioni.
La contrapposizione tra la carne e il pesce non era solo di natura religiosa, ma come è già stato visto anche di carattere culturale; ciò sfociò a partire dal XIII secolo (e questo vale anche per l'arte), nella diffusione di rielaborazioni raffiguranti l'ipotetica battaglia tra il Carnevale e la Quaresima, i due estremi del sistema alimentare dei secoli scorsi.



(Pieter Bruegel il Vecchio, La battaglia fra Carnevale e
Quaresima, 1559, Vienna, Kunsthistorisches Museum)



Il primo libro nel quale si parla di cibi "di magro" e "di grasso" fu "La bataille de Caresme et de Charnage", testo francese del XIII secolo.
In tutta questa tematica si può tranquillamente affermare che il Cristianesimo ebbe un ruolo molto importante nell'affiancare la cultura del pesce a quella della carne.
Bisogna però specificare che il pesce non divenne da subito un alimento comune, a eccezione delle economie marittime o lacustri. Infatti, solo dopo alcuni secoli, con il progresso e l'applicazione dei sistemi di conservazione, divenne un alimento consumato da larghe fasce della popolazione con modi e usi diversi.
L'alternanza tra magro e grasso contribuì ad amalgamare le diversità e le eterogeneità delle varie regioni e fece da propulsore nella coesione tra carne e pesce all'interno della preparazione dei menù destinati ai ricevimenti dei ceti elevati.
La divisione affrontata in questo articolo non riguardò per secoli solo l'ambito gastronomico ma ebbe ripercussioni (come si è brevemente visto) su consumi, stili alimentari e sul modo di pensare di un'intera cultura: quella europea. Da tutto ciò nacquero straordinarie elaborazioni gastronomiche festive e per specifiche ricorrenze, l'inserimento di prodotti poco apprezzati, le manifestazioni collettive di penitenza che ancora oggi vivono in molte località e tanto altro ancora! Non mi stancherò mai di ricordare che la gastronomia è una parte fondamentale della nostra società e storia.

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